| CITAZIONE CdS: "Mandzukic e quello strano digiuno, a secco nel 2019. Contro quell’Atletico che è stato casa sua è venuto meno il suo apporto. Mario vuol tornare Super già al San Paolo"
TORINO - E’ l’ora dei giganti. Per confezionare la rimonta sull’Atletico Madrid servono gol e forza d’urto per superare il muro dei Colchoneros, alto quanto il 2-0 maturato all’andata. E allora come non affidarsi al gigante per eccellenza, Mario Mandzukic, uno dei fedelissimi di Massimiliano Allegri, colui che risolve i problemi, che dà le spallate decisive al momento giusto. C’è bisogno del suo impatto - fisico, tecnico, realizzativo, difensivo, di personalità - nella notte senza ritorno di Champions League. Contro quell’Atletico che è stato casa sua nella stagione 2014-15, prima del passaggio in bianconero. Per il 12 marzo, il croato dovrà tornare SuperMario, il risolutore, l’uomo in più: oggi è un po’ sottotono, come hanno dimostrato le più recenti prestazioni. Sopratutto a Madrid il suo apporto è venuto meno ed è stata una sorpresa. Niente di allarmante, però. Mandzukic non è il tipo che si arrende facilmente, anzi. Con un primo passaggio importantissimo, che riguarda la cosa scudetto: lo scontro diretto di domenica a Napoli. Mario vuol tornare Super già al San Paolo. Mandzukic vuole ripercorrere la stessa strada dell'andata anche al ritorno: ha saltato la trasferta in casa della Lazio all’Olimpico a fine gennaio per infortunio ma ora si presenta al San Paolo intenzionato a mettere il punto esclamativo sulla corsa di vertice della Juve. Obiettivo: blindare il vantaggio in classifica, già di 13 punti, sulla squadra di Ancelotti con un gol che manca ancora nel 2019. L’ultima gioia di «Mandzo» risale al 22 dicembre contro la Roma: il digiuno dura da 5 partite e 664 minuti, dopo aver perso per intero gennaio a causa di un infortunio muscolare. Napoli è l’occasione giusta per riprendere la marcia, anche perché c’è una particolarità: proprio nella gara di andata contro gli azzurri è nato lo «schema-Mandzukic», ovvero il gol che nasce da un cross sulla fascia con Mario pronto sul secondo palo a raccogliere il suggerimento, anticipando il terzino avversario, e a concretizzarlo in rete.
Fonte: Il Corriere dello Sport CITAZIONE CT: "Marcelo si avvicina alla Juve, ma il suo futuro è legato al destino di Alex Sandro. Nel mirino anche Isco, uno che al Real ha saputo fare il fenomeno solo insieme a Zizou"
C’è chi vorrebbe una piazza dove compiere il definitivo salto di qualità, Asensio per esempio. Insomma per puntare alla Champions cresce l’idea di una Juventus formato Real, proseguono le mosse di mercato di Fabio Paratici per ricreare una colonia merengues. Arriva Marcelo. Da quasi un anno ormai si parla di Marcelo alla Juve. Già la scorsa estate l’esterno brasiliano, grande amico di Ronaldo, è stato vicinissimo ad accompagnarlo a Torino. Un trasloco forse rinviato di una sola stagione. In questi mesi Marcelo è arrivato alla rottura definitiva con il Real Madrid, dove è rimasto più per una questione di tempi tecnici che non di principio. La resistenza di Florentino Perez alla doppietta di mercato bianconera era molto formale e di immagine, ma se la Juve fosse riuscita a presentare un’offerta ritenuta congrua in tempo utile allora Marcelo avrebbe già preso la via di Torino. Una missione fallita, perché a sua volta il Psg è arrivato troppo tardi con l’offerta giusta per Alex Sandro, a ridosso di ferragosto il tempo per scatenare l’effetto domino tra i terzini sinistri non c’era più. Tutto è quindi rimasto oggi così com’era ad agosto: Alex Sandro alla Juve, Marcelo al Real. Il brasiliano della Juve ha pure rinnovato lo scorso autunno, una mossa che renderà i bianconeri più forti sul mercato quando sarà nuovamente ora di parlare di una sua cessione (la Premier chiama, anche lo stesso Real si è unito al Psg tra le pretendenti), necessaria per sbloccare l’operazione Marcelo. Che dalla Spagna danno come promesso sposo della Juve. Ma prima dovrà partire Alex Sandro. Lo stallo alla messicana, pardon alla brasiliana, però questa volta sembra destinato a sbloccarsi. Isco, a Madrid, sponda Real, dopo l’addio di Zidane e la cessione di Ronaldo, il clima si è fatto in ogni caso irrespirabile. Una tensione evidenziata anche dalla guerra fredda di Isco. Uno che al Real ha saputo fare il fenomeno, nel senso positivo del termine, solo insieme a Zizou. Uno che al Real è stato accusato di fare il fenomeno, nel senso negativo del termine, con quasi tutti gli altri allenatori: da Rafa Benitez a Julen Lopetegui e Santiago Solari. Panchina dopo panchina, incomprensione dopo incomprensione, quello stesso Isco che prima dell’era Zidane era già finito nel mirino della Juventus ora è a maggior ragione un obiettivo nemmeno troppo nascosto di Fabio Paratici. Era lui uno delle prime scelte quando la squadra di mercato bianconera era alla disperata ricerca di quel trequartista di cui poi Max Allegri ha saputo fare a meno, rimediando quando necessario con la metamorfosi imposta a Paulo Dybala. Isco era una prima scelta quando già reclamava più spazio nel Real, lo è a maggior ragione oggi. È in fuga anche lui, motivo che non potrà consentire a Florentino di tirare troppo la corda attorno alla valutazione. Su Isco non c’è solo la Juve, il rivale più agguerrito è il Manchester City di Pep Guardiola. E per quel che riguarda l’affondo bianconero, così come Marcelo è legato al destino di Alex Sandro. Ma se immaginare una Real Juve sembra sempre più possibile, farlo con Isco oltre che con Marcelo, Zidane e ovviamente CR7 è tutt’altro che utopistico.
Fonte: Corriere di Torino CITAZIONE Rep: "Strategia di Marotta: scambio con Dybala, perché cedere all’estero Icardi non è facile.Il Real insegue punte più in voga e il Barcellona lo lasciò andare. Nel mirino Allegri"
Gli uffici della Saras di Massimo Moratti, per ogni interista il presidente del Triplete, sono a un passo, in galleria: toponomastica crudele. Perché nella moderna sede con gli arredi di design, dietro le porte a vetri dei dirigenti, al quarto piano del palazzo di corso Vittorio Emanuele con vista sullo shopping dei turisti e su uno scorcio del Duomo, da ieri l’Inter cinese degli Zhang e dell’amministratore delegato Beppe Marotta prepara nei dettagli la sfida per la prossima stagione: interrompere l’egemonia della Juventus e soprattutto tornare a sognare proprio come ai tempi del Triplete, del quale nel 2019-20 ricorrerà il decimo anniversario. La data sarebbe congrua col tentativo di rivincere lo scudetto. Con Conte o Allegri in panchina, se Spalletti non si qualificherà per la Champions. Con due nuovi leader di alto livello internazionale in campo, come Godin e Rakitic. Con i due nuovi talenti della Nazionale di Mancini, Chiesa e Barella. E senza Icardi: da ieri è più che mai chiaro. Lo scambio con Dybala non è mera suggestione. La Juve è un’avversaria, ma gli affari sono affari. Dybala rappresenta una ricchezza a livello di qualità, ma anche di appeal a livello mondiale. L’ex ad juventino Marotta, 61 anni, è il decano dei dirigenti calcistici italiani: Varese, Monza, Como, Ravenna, Venezia, Atalanta e Sampdoria, prima del passato recentissimo da demiurgo del mercato di Conte e Allegri. Troppo scafato per abbandonarsi ai proclami di rivincita, dopo le divergenze sull’acquisto di Cristiano Ronaldo, il divorzio forzato da Andrea Agnelli e la sostituzione col discepolo Paratici, abbozza: «Vincere è un obiettivo di Suning e piace anche a me». Le risorse finanziarie del colosso cinese dell’elettronica di proprietà della famiglia Zhang non verranno spese senza limiti, «ma nel rispetto del fair-play finanziario dell’Uefa»: è il ritornello della società. Finita tuttavia la fase dei rigidi paletti sanzionatori del ffp, l’Inter può muoversi con più libertà. La strategia è chiara. Per Marotta non è mai stato una priorità il rinnovo del contratto di Icardi (scade nel 2021). L’abbassamento della clausola rescissoria di 110 milioni è già nei fatti: 70-80 milioni al massimo vale ormai la cessione del centravanti. Frutterebbe comunque una notevole plusvalenza (nel 2013 fu pagato alla Samp 13 milioni e a giugno, dopo gli ammortamenti, varrà a bilancio 2,5 milioni). Il caso della famigerata fascia da capitano va dunque rivisitato. Quando parte della squadra non ha più riconosciuto la leadership di Icardi, adducendo come causa le dichiarazioni in libertà di Wanda sui social e in tivù, Marotta ha usato il cinismo. Il capitano degradato non ha accettato il declassamento, si è ammutinato e depresso: ora diventa più semplice farne digerire ai tifosi la vendita a prezzo ribassato. Magari perfino alla detestata Juventus, che con Dybala potrebbe fare a sua volta una notevole plusvalenza. Il diabolico piano di scambio (studiato da Marotta) tra argentini non è impossibile, anche perché cedere all’estero Icardi non è facile. Il Real Madrid insegue punte più in voga, il Barcellona lo lasciò andare da giovane e il Psg offre anche Cavani come contropartita, il che ridurrebbe la plusvalenza per l’Inter. Marotta, dovendo acquistare un centravanti, avvista il romanista Dzeko. Il rafforzamento costerà almeno 120 milioni. I profili sono suddivisi in due categorie: talenti italiani e campioni internazionali affermati. In cima alla prima lista ci sono i gioielli di Fiorentina e Cagliari Chiesa e Barella, nella seconda Godin (il rinnovo del contratto di Skriniar non bloccherà l’uruguaiano dell’Atletico) e Rakitic (il Barça non lo trattiene a forza). I soldi delle cessioni (il ds Ausilio dovrebbe essere confermato) saranno importanti e fondamentali sarebbero i 60 milioni potenziali della Champions. Sulla qualificazione Spalletti si gioca il futuro: potrebbe non bastare, conterà anche il modo. A marzo ogni club prenota la sua panchina. L’ombra di Mourinho per ora è lontana. Ma quelle di Conte e Allegri restano lì, dietro le porte a vetri al quarto piano del palazzo di corso Vittorio Emanuele.
Fonte: La Repubblica CITAZIONE CT: "Juve, per il dopo Allegri, Guardiola era il preferito del ds Paratici, ma sceglie il presidente Andrea Agnelli, che vuole l’ex bianconero Zinedine Zidane"
A volte ritornano, si dice sempre, solo che stavolta sembra sia vero: «Arriva, arriva», sospira uno dei pochi amici che Zinedine Zidane s’è lasciato a Torino. Da quando s’è alzato per l’ultima volta dalla panchina del Real, è come se solo per quello si fosse avvicinato a quella della Juve, tra la fantasia dei tifosi e la stima di Andrea Agnelli che, come ogni fedele bianconero, l’ammirò ai bei tempi dei colpi di suola. C’era stata qualche chiacchiera, negli anni (passati) e nei mesi (scorsi), come sempre capita tra vecchi amici, ma da qualche tempo la Signora ha iniziato a corteggiare il suo vecchio cavaliere. Nei rumors, come una sorta di direttore tecnico — ipotesi mai concretamente esistita — poi come allenatore. E qui, va da sé, si incrocio con il futuro di Massimiliano Allegri: che ha contratto, ma che, come ogni primavera, sembra già sulla via dell’addio. Solo che quest’anno s’è aggiunto qualche indizio in più, come la corte di un grande club europeo e l’insofferenza per l’ambiente bianconero. Ultima goccia, lo tsunami di critiche perla sconfitta con l’Atletico, nell’andata degli ottavi di Champions. Detto con una sua battuta, riportata: «Mi sono rotto le scatole». Ma l’addio di Allegri sarà solo l’inizio, e non la fine, del romanzo. Perché, a parte il favoritissimo Zidane, i bianconeri hanno pensato pure a un altro allenatore: Pep Guardiola. Del resto, una volta preso il numero uno sul prato, tanto valeva provare a prendere anche il top sulla panchina. Da sempre, sarebbe il sogno del capo dell’area tecnica Fabio Paratici, e di tutti quelli che fanno il suo mestiere. Da anni Paratici conosce Pere Guardiola, fratello di Pep e agente di Luis Suarez, che pure trattò, nel gennaio 2011, prima del blitz del Liverpool. Ed è pure buon conoscente del tecnico, piuttosto il guaio sono i quattrini: quei 20 milioni a stagione che il Manchester City gli garantisce fino al 2021, con un contrattone rinnovato appena un anno fa. L’unica chance sta nella curiosità e nell’ambizione di Guardiola, quella di sfidarsi con il campionato italiano, l’unico che non ha ancora vinto. E, chissà, vincere la Champions con la Juve, anche se è la stessa sfida per la quale l’hanno ingaggiato gli sceicchi. Basta una trattativa (Zidane) e un’ipotesi (Guardiola) per imbastire già un gran duello. Tutto Zidane sta chiuso in una frase di Jorge Valdano, madridista e scrittore, nel suo meraviglioso Sogno di Futbolandia: «Quando il calcio entra in una fase di confusione totale, è bene ricordarsi che la scatola nera ce l’ha Zidane. Lì dentro, c’è tutto». Anche se l’etichetta gliela appiccicò quand’era ancora giocatore. Quello del tecnico, invece, è altro mestiere: la scatola nera registra quello che è stato fatto, non sempre quello che si sarebbe dovuto fare. Zizou se n’è nobilmente fregato, facendo il fuoriclasse anche da allenatore: tre Champions con il Real, roba da fantastici anni Cinquanta, quelli di Alfredo Di Stefano. Non sono mancate le critiche, pure da grandi colleghi, sotto la promessa dell’anonimato: Zidane ha stra-vinto facendo partitelle e tiri in porta. Ovvero, da gestore di talenti, messi insieme in una squadra formidabile. Più amministratore e un po’ meno allenatore, che è poi spesso la critica mossa ai grandissimi. Pep è uno che insegue la forza dell’idea e non l’idea della forza. Il che, farebbe tanto bene all’ultima Juve. Alla quale, invece, dovrà probabilmente dedicarsi Zidane, che mai fece pentire i suoi presidenti, tanto meno Florentino Perez, che dopo i 150 miliardi di lire spesi lo rincuorò: «Tranquillo, sono soldi ben spesi». Anche se Torino, non l’ha mai dimenticata: «Da voi sono diventato Zizou»
Corriere di Torino
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