Il Salotto Bianconero

[Topic Unico] La storia dei mondiali

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PAG Posted on 7/1/2014, 13:38     +1   -1
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Start Believing: I rituali di Prandelli, il supporto divino per Dada e il cantante preferito della Fiorentina
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PRIMO PIANO



07/gen/2014 10.00.00
Gli Azzurri, il Brasile del 1970 e una straordinaria Fiorentina nella nuova puntata di una serie di racconti sulla straordinaria potenza del crederci.



Acqua santa? C’è. Rosario? C’è. Acqua santa? C’è.

Durante gli Europei e la Confederations Cup il ct dell'Italia Cesare Prandelli e i membri del suo staff tecnico hanno fatto pellegrinaggi notturni in chiese e monasteri, spesso arrivando a piedi dal campo d'allenamento degli Azzurri. Uno dei predecessori di Prandelli, Giovanni Trapattoni, avrebbe sicuramente approvato. Il Trap era solito versare acqua santa sul campo prima del fischio d'inizio per poi prendere posizione in panchina, stringendo con ansia un rosario e riprendendo occasionalmente in tasca il flacone di acqua santa.

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Prova di fede | I metodi di Prandelli hanno fallito il test in Confederations Cup



L'ex ct del'Irlanda, la cui sorella è una suona, ha preso la carica di allenatore di Città del Vaticano per un amichevole contro la Guardia di Finanza, allenata da Roberto Donadoni nell'Ottobre 2010. Nonostante la deludente sconfitta per 1-0, Trapattoni ha detto in passato che sarebbe interessato a prendere l’incarico anche a tempo pieno. Beh, ha fatto bene con l’Irlanda, dopo tutto...

La mano di Dio (sta tirando i fili)

Mentre alcuni giocatori pensano di essere un dono di Dio, l'attaccante brasiliano Dada Maravilha andò oltre in vista del Mondiale 1970. Poco prima che la sua convocazione fosse confermata, annunciò: "Dio controlla i miei movimenti sul campo e mi parla. Mi dice di segnare dei goal. Io lo ascolto": Dada informò anche i tifosi di avere un potere cosmico dalla sua parte. La prova del Brasile in finale fu fuori dal mondo, ma Dada rimase in panchina. Il Signore e le sue vie misteriose, eh Dada?

Firenze e il jukebox

La musica prepartita è da sempre uno dei modi preferiti per caricarsi in vista di una partita. Mentre oggi i giocatori si affidano a brani metal o rap, negli anni ’60 a Firenze era tutto più tranquillo. Bruno Pesaola, tecnico della Fiorentina all’epoca, insisteva nel far ascoltare ai suoi i brani del cantante napoletano Peppino Gagliardi prima di ogni gara. Un weekend, arrivato a Genova, Pesaola realizzò di aver dimenticato il suo vinile preferito di Gagliardi e noleggiò un auto per un viaggio di 500 km ad alta velocità, al fine di motivare la sua squadra con la solità dose di melodicità. Funzionò. La Fiorentina riuscì ad aggiudicarsi il titolo 1968-69, il secondo e ultimo scudetto della storia viola.

Goal.com
 
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PAG Posted on 7/1/2014, 17:54     +1   -1
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Start Believing: Un bacio alla francese portafortuna, la galleria di Napoli e 11 Pelè

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Laurent Blanc, Walter Mazzarri e la Coppa del Mondo 1974 nella prima puntata di una serie di racconti sulla straordinaria potenza del crederci.





Un bacio alla francese portafortuna


108236_hp"La mia superstizione era più sentita"

"Alcuni giocatori hanno abitudini ossessive con i calzerotti o le scarpe, alcuni non mettono la maglia fino a quando non lasciano lo spogliatoio", ha spiegato il difensore della Francia Laurent Blanc, "ma la mia piccola superstizione era più sentita". Il vincitore della Coppa del Mondo si stava riferendo, ovviamente, all'usanza di stampare un bacio sulla testa pelata del portiere Fabien Barthez prima delle partite di Francia '98. "Penso solo sia un pò strano, davvero", ha ammesso il tecnico Aime Jacquet, "ma non fa alcun danno, immagino". Effettivamente no. La Francia ha alzato al cielo il trofeo come paese organizzatore anche se Blanc ha dovuto baciare la testa di Barthez da spettatore perchè era squalificato per la finale".

Toccati dal Signore

I giocatori del Napoli passano solitamente davanti a un muro di immagini e santini per entrare sul terreno di gioco dello Stadio San Paolo, spesso toccandoli come portafortuna. Tuttavia, a seguito di un momento di forma negativo durante la stagione 2011-2012, l'allora allenatore Walter Mazzarri chiese che i ritratti dei santi fossero rimossi, pensando che anche i giocatori avversari li toccavano e raccoglievano i frutti dell'ispirazione divina. Il Napoli ebbe un finale di stagione deludente, perdendo punti preziosi e finendo quinto. I tifosi organizzarono una petizione durante l'estate, i santini furono restituiti e il club ha poi goduto delle sue migliori stagioni da molti anni a questi a parte.

I Leopardi cambiano le loro macchie


354511_hp"Vi sentirete come 11 Pelè"


Dopo che lo Zaire si qualificò ai Mondiali del 1974, il sovrano del paese, il presidente Mobutu, convocò i giocatori in uno dei suoi palazzi, dove riaffermò la sua convinzione che essi avrebbero "corso e cacciato come leopardi durante le partite". Mobutu aveva già contibuito a ridisegnare le maglie, un completo con un motivo leopardato, sostenendo che le maglie gialle "vi faranno sentire come 11 Pelè". Se solo i giocatori dello Zaire avessero avuto tanta convinzione come il loro leader. Dopo aver subito 14 goal senza segnare neanche un goal, sono tornati a casa in disgrazia, con Mobutu ad informarli: "Avete umiliato un'intera nazione". Tolse i fondi per i campi d'allenamento della squadra: come punizione per un dittatore non era neanche così male...

Goal.com


Enrique Ballestrero, campione per caso

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Ballestrero


Tornammo negli spogliatoi e uno dei miei si gettò a terra piangendo. Non possiamo perdere, loro sono argentini, noi uruguayani. Lo disse in quel modo tutto nostro, di noi sudamericani, quel modo in cui impastiamo la tragedia pure alle piccole cose della vita. Nello stadio soffiava un vento di angustia. Noi diciamo frasi così. Era tutta colpa mia, io, Enrique Ballestrero, 25 anni, il portiere della Celeste, la nazionale di casa. Intorno a me sapevano che sarebbe successo, sentivano che non sarei stato all’altezza della finale di un campionato mondiale, che li avrei traditi. Come poteva l’Uruguay vincere la prima coppa del mondo con un portiere che in nazionale non c’era stato mai? Quel portiere: io.D’accordo, lo so, lo so, mancavano l’Inghilterra, l’Italia, l’Austria, la Spagna, l’Ungheria e la Cecoslovacchia. Lo so, e allora? Nel 1930 volevamo vincere lo stesso quel Mondiale. Campeones, campeones: l’avremmo gridato uguale. Solo che a tutto c’è un limite, e il limite per loro ero io, adesso che l’Argentina era avanti 2-1 all’intervallo.
La loro sfiducia s’era incollata alla mia pelle. Sarebbe stato meglio avere Andrés, lui sì che li avrebbe fatti vincere, Andrés Mazzali, il titolare, uno vero, il portiere che aveva trascinato l’Uruguay a due ori consecutivi alle Olimpiadi, qualche anno prima aveva persino vinto il titolo sudamericano dei 400 ostacoli. Altro che me. Solo che Alberto Suppicci, il nostro ct, uomo scontroso, si era preso il lusso di passare alla storia come un sergente. Aveva beccato Mazzali che rientrava in ritiro di notte, in punta di piedi e con le scarpe in mano. Eravamo chiusi in quel maledetto albergo di Montevideo da 8 settimane e si scoppiava. Mazzali scappò, si fece scoprire. Disse che non ne poteva più di stare lontano dalla moglie, Ma quale moglie gli rispose Suppicci, e dalla moglie lo rispedì davvero. Via. Fuori dalla nazionale. Gioca Ballestrero. Ballestrero chi?, fecero quelli della squadra. L’unico Ballestrero che c’è in mezzo a noi. Io. Bello scherzo Suppicci, gli risposero. Ma Suppicci non scherzava. Mazzali tornò a casa e in campo andai io.

Nelle prime due partite me l’ero anche cavata. Con Perù e Romania senza prendere un gol. In semifinale con la Jugoslavia era stato tutto facile facile, 6-1, troppo forti noi. Ma la finale? I loro tifosi erano arrivati a Montevideo con dieci battelli, i giornali uruguayani scrissero: Attenti, che nemmeno un revolver attraversi il confine. C’era nebbia, otto di quei dieci battelli sarebbero arrivati a partita già cominciata. Fortuna che l’arbitro viaggiasse sul primo. I calciatori argentini s’erano presentati in campo con uno spezzato grigio, come a un gala. Avevano un appuntamento con la coppa.
I pensieri contrari dei miei compagni li colsi tutti. Uscii dallo spogliatoio, sulle scale sentii un mormorio. E’ con me che ce l’avevano, e quella fu la scossa. Giocai un secondo tempo senza errori. Il resto lo fecero loro, i ragazzi della Celeste. Da 1-2 a 3-2. All’ultimo minuto vidi libero Cea e gli passai la palla, lui la diede a Castro e facemmo 4-2. Finita. Campioni. Al diavolo Mazzali, ditemelo adesso che era meglio lui. Due argentini raccontarono di minacce di morte subite prima della partita, l’Uruguay arrivò a a rompere le relazioni diplomatiche, che cos’è il calcio. Ma io ero campeòn. Il treno era passato, c’ero salito, Mazzali invece era rimasto con il biglietto in una mano, le scarpe nell’altra.

Repubblica.it

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PAG Posted on 7/1/2014, 21:17     +1   -1
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Se nn sbaglio Federico Buffa dovrebbe fare uno speciale sui mondiali. I suoi aneddoti sn sempre interessantissimi, io purtroppo non ho sky ma appena li trovo in rete li posto in questo topic
 
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PAG Posted on 12/1/2014, 19:34     +1   -1
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Oscar Bonfiglio e il primo rigore parato

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Erano le tre del pomeriggio, faceva freddo e pioveva. Battemmo noi la palla al centro, poi passarono diciannove minuti. In 19 minuti si combattono poco più di sei round di boxe, in 19 minuti Paavo Nurmi corre sette chilometri, in 19 minuti io presi il primo gol della partita, segnò un tale Lucien Laurent, Francia 1 Messico 0, il primo gol nella storia dei Mondiali di calcio.

Raccolsi il pallone dalla rete e pensai a mio padre, Manuel Bonfiglio García, il generale Manuel Bonfiglio García, che prima di partire mi aveva detto Il Messico lo puoi servire con le armi ma anche parando un calcio di rigore. Lui aveva scelto le armi, io avevo preso gol. Si occupava della paga delle truppe di Álvaro Obregón, nel pieno della nuestra Revolución. Obregón si era unito a Carranza contro Zapata e Villa, poi era stato presidente fra il ’20 e il ’24, riforme agrarie, alleanza con gli Usa, politica anticlericale, ecco chi era Obregón. Noi, i Bonfiglio, origini italiane, stavamo dalla sua parte.

Sotto le armi, con la sua abilità nel tenere i conti, mio padre riuscì a far nascere squadre di calcio legate all’esercito. Ho imparato così a starmene tra i pali, per questo presi una divisa anch’io, obbedire e farsi obbedire, guidare ed essere guidati, militare e portiere, per me quasi una cosa sola. Ho giocato con l’Esparta, il Cuenta y Administración, il Guerra y Marina, finché mi dissero che dovevo passare al Marte, la squadra cara ai generali. Così nel ’28 andai alle Olimpiadi, Amsterdam, l’Europa, 24 giorni di viaggio, e due anni dopo i Mondiali. Quando nel ’30 cominciò, le violenze in Messico erano quasi del tutto finite. A Estación Ortiz, nella regione di Sonora dove sono nato, gli indios yaquis mi chiamavano Yori, come facevano con tutti i bianchi o i mestizos. Zapata era morto, Villa era morto, pure Obregón ormai era morto, ma il Messico era vivo, il Messico non muore mai.

Dopo la sconfitta per 4-1 con la Francia, i giornali messicani scrissero che eravamo male alimentati, a dire la verità io stesso non avevo il fisico del portiere, alto 1 e 74, cicciottello. Mi tennero fuori per la seconda partita, al mio posto contro il Cile giocò Isidoro Sota, ma alla terza c’ero. Contro l’Argentina. Eravamo già sotto per 3-0 quando l’arbitro fischiò per loro un calcio di rigore. L’arbitro, poi. In realtà, a quei Mondiali non ce n’erano a sufficienza, il fischietto lo diedero al ct della Bolivia, Ulises Saucedo. Minuto 23. Fu allora che ricordai le parole di mio padre, sulla patria che puoi servire in quei due modi. Fernando Paternoster sistemò il pallone a undici metri da me e quando prese la rincorsa io servii il Messico. Stesi una mano e parai il rigore. Il primo nella storia dei Mondiali.

Paternoster raccontò di averlo sbagliato di proposito, di avermelo tirato addosso per cavalleria, già vincevano 3-0. Ah sì? E allora perché dopo ne fecero altri tre? Negli spogliatoi, alla fine, si fece avanti un uomo. Lei è Oscar Bonfiglio Martínez? – mi domandò – lei oggi è stato un eroe. Lo guardai, si presentò, era Carlos Gardel. Vorrei regalarle qualcosa, disse, mi chieda qualsiasi cosa. Maestro, gli risposi, mi canti un tango. A cappella, lì davanti a tutti, intonò Volver. Eroe, l’argentino Gardel mi aveva chiamato così. Mio padre ne sarebbe stato fiero.

Repubblica.it

CITAZIONE (Alexm88 @ 7/1/2014, 21:17) 
Se nn sbaglio Federico Buffa dovrebbe fare uno speciale sui mondiali. I suoi aneddoti sn sempre interessantissimi, io purtroppo non ho sky ma appena li trovo in rete li posto in questo topic

Interessante Alex, non appena lo farà e riuscirò a trovarlo in internet lo posterò :)
 
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PAG Posted on 13/1/2014, 10:34     +1   -1
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Gianpiero Combi, il Lord che portava i maglioni

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Tutti noi della nazionale italiana ci presentammo intorno al letto di Ceresoli. Meazza, Rosetta, Orsi, io. Il ct Pozzo sperava in silenzio, poi in ospedale arrivò il medico e Pozzo smise di sperare. Toccò il braccio sinistro al portiere dell’Inter e disse che era rotto. L’omero. E’ spezzato. Se lo era fratturato in allenamento per parare un tiro di Pietro Arcari, lanciandosi, del resto si buttava anche quando non serviva. Ceresoli non parlò, lo fece Pozzo, mi guardò e sussurrò in piemontese che sarebbe toccato a me. Mancavano 12 giorni al mondiale del ’34 e io, Gianpiero Combi, mi misi a piangere.

Toccò a me la maglia da portiere della nazionale italiana che in Italia giocava il mondiale del ’34. Il mondiale fascista. Il mondiale da vincere. A me, che avrei voluto lasciare il calcio già dopo il quinto scudetto con la Juve. Pozzo mi convinse a rimandare, Dai vieni con noi almeno al Mondiale. Per mettermi in forma mi allenavo dieci ore al giorno. Avevo 15 anni di carriera con la Juventus alle spalle e 10 di nazionale. Ma mi facevo sempre male. Perciò il c.t. mi aveva preferito Ceresoli, alla fine mi ero lasciato andare. Fu tutta una rincorsa, il mio mondiale. Gli Stati Uniti, le due partite con la Spagna, la semifinale con l’Austria, quando fui tra i migliori in campo.Fino al giorno del titolo, la vittoria ai supplementari sulla Cecoslovacchia, il mio addio. Alzai la Coppa Rimet e lasciai, sono stato il primo portiere capitano di una squadra campione del mondo, 48 anni prima di Zoff. Avevo 32 anni, ci tenevo a chiudere in bellezza. Quarantanove giorni dopo il Mondiale salutai pure la Juve, 2-1 all’Admira Vienna, poi basta, a casa. Dissi che volevo sfuggire alla sorte di quei vecchi attori che si concedono la serata d’addio. (*)

Mio padre possedeva a Torino una piccola industria di liquori. Mi voleva in ditta già da ragazzino. Io invece avevo fatto sempre di testa mia, con gli amici andavo a giocare a calcio ai giardini di Porta Susa. Mi chiamavano Fusetta, significa fulmine, lampo, petardo. E allora un giorno i miei genitori chiusero il fusetta in collegio. A Pinerolo. Uscii di lì solo per andare a fare un provino col Torino. Non ha stoffa, mi dissero. Che testa dura, io: tentai con la Juve. Mi presero. All’inizio ero un disastro, nelle uscite non sono mai stato un fenomeno. Mi allenavo nel cortile di casa, c’è un esercizio tuttora molto eseguito che ho inventato io: calciavo la palla contro un muro e la bloccavo con le mani. Quando arrivai in nazionale presi sette gol al debutto, a Budapest contro l’Ungheria, andai in campo all’ultimo istante al posto di De Prà. Avevo un cane danese, le ghette e i capelli lunghi. In campo portavo maglioni a collo alto e pantaloni di fustagno confezionati su misura, imbottiti ai fianchi, con due tasche in cui infilare le mani e le sigarette. Nell’intervallo fumavo. Si sapeva che soffrivo il freddo. Nessuno seppe mai invece il nome del mio sarto.

Combi, Rosetta, Caligaris. Ricordàtelo. Noi tre siamo stati una filastrocca popolare prima di Sarti, Burgnich, Facchetti. Dopo la vittoria del ’34, Mussolini ci chiamò a palazzo Venezia. Starace venne incontro alla nazionale e disse Bravi ragazzi, grandi, avete onorato eccetera eccetera, ora il duce vi riceverà, vuole farvi un regalo, fatevi venire un’idea su cosa desiderate. La federazione ci aveva già pagato 20mila lire. Borel aveva in mente di chiedere una licenza scolastica, chi lo sa perché, era una sua fissazione. Io ero per una tessera ferroviaria a vita, viaggiare è molto meglio che passare per una persona colta, e comunque si imparano più cose. Il regalo invece fu una foto del duce con autografo. Che detto fra di noi a casa mia non arrivò mai. Del resto, per otto anni, a me non era neppure mai arrivato lo stipendio, e mai l’avevo chiesto. Ero diventato professionista, diciamo così, solo quando i miei volevano che partissi per l’America, a curare gli affari di famiglia dall’altra parte dell’Oceano. Non fatevi domande sulla nostra distilleria ai tempi del Proibizionismo, in ogni caso non andai. Ne parlai alla Juve, mi diedero uno stipendio e mi regalarono una macchina, una 501. Ma pretesi di non essere ricompensato quando della Juve diventai dirigente, lavorando al fianco di Umberto Agnelli. Del resto, io per la Juventus avevo giocato con tre costole rotte; quella volta, mi pare col Brescia, ogni tanto svenivo dal dolore, l’arbitro interrompeva il gioco e il massaggiatore veniva a tirarmi su con degli impacchi gelati dietro la nuca. Un’altra volta avevo una vertebra incrinata, contro la Cremonese, e me ne rimasi appoggiato al palo ogni volta che la palla era lontana, poi ho giocato con l’itterizia, con i polsi rotti, con le dita fratturate e col setto nasale deviato. In uno scontro con Caligaris mi ruppi un braccio e perdevo sangue da un orecchio, lesione della tromba d’Eustachio. Ero come un burattino che cadeva ogni volta che mi rimettevano in piedi, ma al malocchio non ho creduto mai. Ecco. Avrete capito com’ero fatto, per questo non potevo mica prendere soldi dalla Juve per starmene dietro una scrivania. Io ero Gianpiero Combi.

“Tutte le cause a cui fu chiamato le ha servite con fedeltà ed onore” (dall’orazione funebre di Vittorio Pozzo, 1956).

(* fonte: un articolo di Alberto Fasano pubblicato su Hurrà Juventus del 1975, consultato sul blog “Il pallone racconta”)

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PAG Posted on 17/1/2014, 20:27     +1   -1
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Hector Castro sarà ricordato per sempre come uno dei più grandi glorie della selezione dell'Uruguay e del Nacional Montevideo, ma la sua vita non sarebbe stata per nulla straordinaria, se non avesse avuto un'eccezionale forza di volontà e di emergere, dopo il doloroso incidente che all'età di 13 anni lo privò della mano destra.

Castro, nato nel novembre 1904 nella capitale Montevideo, ha iniziato a lavorare molto giovane con il padre di origine galiziana, quando un incidente industriale con una se.ga elettrica, manipolata nonostante la giovane età, gli tagliò un lato della mano, al punto che essa avrebbe dovuto esser rimossa dalla radice.Questo incidente lo costringerà a vivere per tutto il resto della vita con un moncherino. Tuttavia, questa situazione avrebbe involontariamente contribuito ad accrescere la leggenda di questo personaggio.

Il giovane Hector crebbe in un periodo di grande espansione calcistica. Le sue grandi doti tecniche non passarono inosservate al Lito Athletic, club di Montevideo. Nonostante la sua disabilità, i suoi primi allenatori lo aiutarono a superare questo problema, portandolo addirittura a utilizzare questo difetto fisico come arma a proprio vantaggio.

A soli 16 anni, nel 1921, Castro debuttò nella massima serie uruguaiana, e a 19 entrò stabilmente nel giro della Celeste.

Castro agiva sulla zona destra del centrocampo, ed era dotato di grande corsa e forza nel tiro, specie con il destro. Le sue caratteristiche principali erano la distribuzione di gioco. Nelle giocate aeree riusciva con il suo moncherino ad agire bene in marcatura sui rivali. Ben presto divenne "el divino manco" per i suoi sostenitori, ovvero "il monco divino".

Nel 1926, Castro divenne una colonna della Nazionale: nel Torneo Sudamericano del 1926 guidò i suoi alla conquista del trofeo, realizzando 6 reti. Un anno prima si era trasferito nel più noto club del Nacional Montevideo.

Con la maggior parte degli stessi compagni, e ormai idolo nazionale, Castro partecipò al successo Olimpico del 1928 ad Amsterdam: una riconferma dolce per la Celeste dopo l'oro del 1924, dato che in finale furono battuti gli acerrimi rivali argentini.

Nel 1930 tutti attesero il Mondiale in Uruguay. La Nazionale debuttò contro il Perù, una gara che Castro non avrebbe nemmeno dovuto giocare. Davanti si era posta una linea d'attacco da urlo per la squadra di Suppici: Cea, Petrone, Scarone e Anselmo. Quattro fuoriclasse e tutti tecnicamente superiori al divino manco. Tuttavia Hector Scarone accusò una crisi di panico nelle ore prima della gara, dicendo di non sentirsela. Il capitano, Josè Nasazzi, indicò in Castro il rimpiazzo ideale. E, nemmeno a dirlo, fu lui ad evitare il debutto amaro per la Celeste, firmando l'1-0 finale.

Castro tornò nei ranghi, fino alla finale contro l'Argentina: questa volta fu Peregrino Anselmo, eroe della semifinale contro la Jugoslavia, ad andare nel panico. Il timore per la marcatura feroce e violenta di Luisito Monti, cuore e anima dell'Albiceleste, lo portò alla rinuncia. Ancora una volta Nasazzi chiamò Hector, che rispose presente.

Una finale emozionante e combattuta, e a chiuderla fu proprio el manco, in elevazione di testa allo scadere, per il 4-2 che fece esplodere il Centenario e portò la Rimet sulle coste orientali del Rio de la Plata.

Il primo e unico calciatore "disabile" a vincere, e da protagonista un mondiale. Castro divenne leggenda, vincendo ancora il Sudamericano nel 1935 e nel 1936, giocò fino a quell'anno nel Nacional Montevideo tranne una parentesi nel 1932/33 nell'Estudiantes.

Una storia incredibile e clamorosa, tanto che Castro, una volta conclusa la carriera, disse che da bambino il suo sogno era quello di fare il portiere nel Penarol. Lui che divenne mito da attaccante esterno negli odiati rivali del Nacional....

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PAG Posted on 20/4/2014, 22:41     +1   -1
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Storie Mondiali "Il Maracanazo"-Federico Buffa







Federico Buffa "L'Arancia Meccanica"-Storie Mondiali




 
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Storie Mondiali "Il grande Uruguay (1930)" - Federico Buffa



 
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stasera su sky alle 11.30 c'è il racconto dei mondiali del 66
 
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PAG Posted on 27/4/2014, 21:40     +1   -1
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L'ultimo sull'Uruguay mi pare essere stato quello un po più sottotono fino ad oggi,forse anche per la mancanza di immagini.
 
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PAG Posted on 29/4/2014, 23:02     +1   -1
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Storie Mondiali-Football Back Home(Inghilterra 1966)-Federico Buffa



 
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Storie mondiali - Diegoooooooooo! (1986) - Federico Buffa



Buffa Racconta : Diego ! (1986) di Superflyvideomaker
 
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Storie mondiali - Italia-Germania 4-3 (1970) - Federico Buffa



 
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Storie Mondiali - Notti Magiche (1990) - Federico Buffa



 
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PAG Posted on 27/5/2014, 05:32     +1   -1
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Storie Mondiali-Maledetti rigori(USA 1994)-Buffa racconta





Edited by Cocteau Twins - 1/6/2014, 12:30
 
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