| Quando si pensa al calcio, non si può non pensare alla Serie A, per antonomasia IL campionato. Le Premier League ha avuto delle storie splendide nella sua storia, delle squadre leggendarie, dei giocatori splendidi. Ma IL campionato è sempre stato la Serie A: il luogo di leggende senza tempo, il teatro di alcuni dei più grandi interpreti del calcio, da Platini a Van Basten, da Sivori a Maradona, da Rivera a Baggio, da Del Piero a Scirea. La Serie A è stata il tempio del calcio, un luogo sacro. Il top lo si raggiunse a metà anni '90, quando alle spalle di una delle squadre più grandi di sempre, la prima Juventus di Lippi, c'erano Inter, Udinese, Parma, Fiorentina, Lazio, Roma, Milan, tutte di livello altissimo e capaci di vincere non solo in Italia ma anche all'estero. Si respirava l'aria di un calcio splendido e i primi crack, che forse seminavano già qualche indizio, le vicende Cirio, Parmalat, Cecchi Gori, furono presto dimenticate quando portammo due squadre in finale di Champions nel 2003. Sembrava essere il momento più bello e poi il buio: a Milano si accordano, decidono che è tempo di chiudere questo sistema così perfetto e assolutamente ideale per qualunque appassionato di calcio, decidono che noia, banalità, truffe e mediocrità devono regnare sovrane. Scoppia Farsopoli, la stampa si getta ai piedi di Moratti e Galliani, si spartiscono di tutto. All'Inter il campionato e la Champions del 2010, al Milan il campionato del 2011 e la Champions del 2007. Un sistema perfetto, dove non c'è spazio per le altre, dove si possono lanciare dei contentini (Sampdoria, Genoa, Lazio, Roma), ma il prezzo da pagare è alto, altissimo: la dignità. Si perde quella bellezza che aveva fatto della Serie A un luogo magico e ci si abbassa a un livello infimo, che fa rabbrividire. Non per la mediocrità tecnica, quanto per il cinismo col quale vengono prese le decisioni per il campo AL DI FUORI del campo. Dallo scudetto a tavolino assegnato nel 2006 è stato un discendere verso gli inferi, si è creato un meccanismo preciso come un orologio svizzero, freddo, brutale. E allora vedi un Bergonzi che fa di tutto alla Juve e continua ad arbitrarla, un Quagliarella che segna di almeno mezzo metro e il gol non viene convalidato, un giovane all'esordio in A che a centrocampo strattona un avversario e viene espulso. Rimani allibito, non vuoi crederci, dici "Prima o poi tutto finirà". Fino a quando, un bel giorno, vedi la capolista avere bisogno di regali altrui per pareggiare in casa con l'Udinese, l'Inter supercampione del globo terracqueo che per passare a Catania ha bisogno del fato propizio, la Lazio che perde in casa col Lecce, Toni a cui viene annullato un gol clamorosamente regolare. E ti rendi conto che è finito, che è tutto finito, che quel bel sogno non c'è più, che la Serie A è morta, che il calcio italiano è morto, e il mondiale del 2006 è stato un semplice colpo di coda, un regalo che tanti nemmeno meritavano di una squadra, la Juventus 2005/2006, che è stata smembrata con una lucidità degna di una puntata di CSI. Oggi il campionato italiano è morto, i funerali saranno tenuti a Torino. A Milano, grande festa. E non portate mogli o ragazze, mi raccomando.
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